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mercoledì 18 novembre 2009

Le privazioni delle cose pubbliche


Dopo la privatizzazione delle ferrovie, delle linee civili e incivili, aeree e terree, il prode, l'inattendibile, l'incoercibile eroe della Governativa Silvio & co. S.p2.a. ottenne la privatizzazione dell'acqua e del cibo. Silvio si prodigava anima e corpo per liberalizzare tutto e tutti. La ditta appaltatrice anzidetta, riuscì anche a privatizzare le patrie galere (dato che ormai lui era di casa) trasformandole in ville lussuose di tolleranza. Era tollerante, eccome se tollerava! Osò sfidare la minoranza, ormai minorata e decimata dell'opposizione, privatizzando l'esercito. In effetti fu una svista, dovuta più che altro al suo zelo intransigente; non si rese lì per lì conto che le forze armate e quelle di polizia erano già privatizzate e di sua proprietà. Il parlamento serviva ormai solo per dare udienza alle barzellette del presidente che, come abbiamo già detto altrove, facevano parte della sua astuta tattica: chi non ride in compagnia o è contro la Governativa di Silvio o è una spia. Niente rimase di pubblico, tutto divenne privato, anche i cessi pubblici che, per usufruirne, bisognava essere tesserati della Governativa. Fu privatizzato anche il diritto che d'allora in poi divenne soltanto privato.

                                                     Addì 18 novembre 73 d.B.

Verba in mutant scripta manent


In principio era il Verbo, poi venne Silvio e le parole e le coniugazioni trovarono nuova vitalità, una nuova modalità di espressione libera e indipendente, avulse dal coercitivo vecchio significato cristallizzato intorno ad esse come una camicia di forza. Una volta scardinate le regole, costringenti a una insana, piatta e lineare condotta univoca, il verbo assunse una funzione creativa, reattiva e specialmente lo si poteva usare per esprimere il contraddittorio, il suo. Ed ora il verbo, non avendo più possibilità univoche, consentiva a Silvio di esprimersi liberamente senza vincolo alcuno. La prima cosa che fece la Governativa Silvio & co. S.p2.a., fu quella di far approvare un DDL che prevedeva l'uso libero del tempo grammaticale, svincolato dalle complicatissime flessioni ormai desuete; tutto venne sempificato in un'unico modo grammaticale che includeva tutti i tempi, onde ridurre gli equivoci della pluralità di espressione. Cosi per DL il verbo avere venne coniugato semplicemente così...

       io ho
       tu non hai
       egli avrebbe
       noi abbiamo
       voi non avrete
       essi non avranno

Silvio passò così alla storia, oltre che per le tante imprese gestionali e ricattatorie (come quella parlamentare), anche per essere stato il liberatore della coniugazione del verbo. Il verbo essere, come il verbo avere, non trovo sorte e libertà migliore...

       io sono
       tu fosti
       egli fu
       noi siamo
       voi foste
       essi furono

Con l'ausilio dei verbi ausiliari liberati dalle regole dei rossi, Silvio poté infine, dopo aver divorziato da sua moglie, coniugare tutti gli altri verbi.

       io non posso essere carcerato
       tu sei carcerato
       egli è carcerato
       noi non siamo carcerati
       voi sarete carcerati
       essi sono e saranno sempre carcerati.

O infinta libertà del Verbo! Grazie Silvio, meno male che ci sei e sempre ci sarai. Hai mantenuto la tue promesse; hai restituito la libertà a tutti e a tutto, anche all'espressione verbale.

Di Pietro in modo burbero e maleducato, osò sfidare apertamente in sede parlamentare il premier, farfugliando la sua ormai desueta grammatica incomprensibile ai più... "e questo che ci'azzecca?" Querelato in prima istanza per abuso di verbo spropositato di vecchio stampo catto-comunista, venne poi condannato alla pena detentiva capitale, ovvero alla confisca di tutto il capitale in contanti, ma soprattutto liberato dalla schiavitù di parola, precedentemente definita in modo incongruo libertà di parola.

                                                  Addì 18 novembre 73 d.B.

Lodo Alfano




          La cosa seria di questa Italietta,
          orrenda, lacché, scaltra e paracula,
          dimostra come essa sia così infetta,
          oppressa, e intanto ancora la si incula.

          Alfan propone il lodo e il presidente,
          lamentando di esser vittima dei rossi,
          farfuglia da tenace impenitente,
          accusa i giudici, prevede guai grossi;
          negando l'evidenza più banale
          ostenta rabbia da vero criminale.

Processi brevi




         Par che Ghedini insieme al presidente,
         rifar volesse la costituzione;
         or non accettando di esser perdente
         cercò di evitar la carcerazione;
         e mise in atto un piano assai procace,
         sì da fare arrossir per la vergogna;
         sifatta legge fatta dal rapace
         infettar vuole l'Italia con la rogna.

         Berlusca impreca e teme la giustizia,
         riottoso, non vuol farsi giudicare,
         e finge poi con solita malizia,
         vilmente, non desiste dal mollare.
         Intanto è lì ancora a comandare.

Per fortuna che Papi c'è




Un sunto di storia di italiana follia

Nella prima repubblica eravamo persuasi che niente di più abietto ci fosse rimasto (né valori, né borsa, né vita) ,  così i nostri intrepidi eroi di mani pulite si diedero da fare per lindare il nostro paese da gente poco onesta e dedita a suoi loschi affari.  Troppo maniaci del loro dovere, presto furono sommersi dalla merdaccia che essi stessi invano cercavano di togliere, sforzandosi ai limiti dell'impossibile, inimmaginabili; ma la quantità era di proporzione così immane, così sesquipedale, che, di conseguenza, furono sopraffatti e soffocati dalla stessa merda che essi cercavano invano di eliminare e arginare. Un grande esempio di incapacità gestionale; un'impresa titanica come quella, avrebbe richiesto ulteriori strumenti e incentivi di proporzioni astronomiche, che nessuno ormai voleva più fornire. D'altronde era come scavare la fossa con le proprie mani, pagare il proprio carnefice per la costruzione del proprio patibolo. Per non annegare insieme agli stronzi puzzolenti riportati a galla dalla sua indagine, Di Pietro, vista la mala parata, persa la partita, partì dando per tempo le dimissioni. Aveva ormai capito bene che a furia di mandati e di avvisi di garanzia, arrestando e condannando, sarebbe rimasto soltanto lui e pochi altri del pool, a sostenere l'accusa. La rivolta popolare sarebbe stata inevitabile. In una così strettissima minoranza, il pool decise di dichiarare forfait; non era proprio il caso di finire in galera in un sistema di maggioranza corrotta  democratica come quella. Infine si capì che il corruttore era proprio lui. Aveva rotto le uova nel paniere a tantissimi e sconvolto lo status quo ante democorrotto che lui cercava contro ogni malcostume vigente di democorreggere. Gli eventi successivi diedero ragione a questo paradosso costituzionale.

Con la fine del pool milanese, nacque la Seconda Repubblica, i cui rappresentanti seduti in parlamento e in altre sedi amministrative corrispondevano finalmente  appieno alla maggioranza della popolazione. Adesso finalmente alla luce del sole possiamo vedere la pasta democratica della nostra nazione: i delinquenti, gli spacciatori e i  mafiosi, prima ingiustamente latitanti, perseguitati e braccati dalle forze dell'ordine catto-comuniste e dalle toghe rosse, possono ora finalmente esprimere a viso aperto e in modo schietto, democriticamente le loro idee e fare anch'essi le loro leggi e i loro processi sommari.  

Dallo sfascio del pool, troppo indirizzato politicamente, nacque la Lega e il partito del Papi della sua libertà (tanta agognata!). Infatti, soltanto in extemis, il princip(iant)e Berlusca riuscì a ripristinare l'ordine democratico infranto dai rossi di mani pulite. Lui stesso a  stento riuscì ad evitare le manette pulite e tante altre cose poco pulite. Inizialmente, non molto forte dell'appoggio popolare, riuscì poi in una strenua lotta, soprattutto mediatica,  a convincere l'elettorato della sua candida candidatura e della sua innocenza espressa da tutti i pori e polli della gogna mediatica. Il popolo rinsavito e riformattato secondo i canoni della benemerita democretineria televisionaria constatò amaramente che il Papi alla sua libertà ci teneva molto, e ne fu felice, se non altro ci credette molto. L'uomo più uguale di tutti gli altri, in un estremo atto di coraggio, inimmaginabile, cercò di aggirare i limiti imposti dalla costituzione incostituzionale catto-comunista,  strenuamente difesa dalle indegne e blasfeme toghe rosse, e dalle bande estremiste extra-parlamentari. Di Pietro in testa, infatti, contro ogni più pallida logica democratica, connivente, in modo incivile e perfido osò sfidare l'uomo più uguale di tutti gli altri, minacciandolo con frasi fatte del tipo "io a quello lo sfascio!".  Ma questo molisano, di Monte-nero (il nome del suo paesino natale già dice tutto!) non era adatto per Montecitorio. I suoi trascorsi anti-democratici avevano impunemente fatto affondare la prima repubblica. Inoltre: sdiceva e balbettava troppo, troppissimo, talché la maggioranza democretinaggiante prese coscienza delle reticenze verbali e si domandava con preoccupazione: "ma costui sta nascondendo qualcosa". Per indole sua costituzionale e regionale gli veniva naturale sopprimere e attenuare spesso vocali e consonanti, il che rendeva il suo stesso discorso controproducente e alquanto ingarbugliato, spesso oscuro e controverso. Il magistrato lottava contro sé stesso, contro la stessa frenesia fisiologia del suo apparato psico-fonatorio. Che ci'azzecca?... Infatti non ci'azzecava; era contrariato dal suo stesso dire. Non faceva che ripetere le stesse cose, scagliandosi come un camicazze d'altri tempi sul povero malcapitato cittadino più uguale di tutti gli altri.

Il cavaliere era invece bello, nobile, sempre sorridente, virile, ma di innocenza virginea, parlava il suo splendido italiano, mai una parola fuori posto, si vedeva bene che non aveva niente da nascondere, anche perché l'italiano medio già sapeva tutto di lui, essendo tra l'altro il suo esecutore testamentario, e lo appoggiava fieramente in modo incondizionato; lui contraccambiava a sua volta appoggiandoglielo altrettanto incondizionatamente. Amore a prima svista. Infatti, pur di preservare questo splendido amore incondizionato corrisposto e sponsorizzato dalle sue stesse tivvù private e pubbliche, il cittadino più uguale di tutti gli altri faceva di tutto per preservare la sua sacra e incontaminata immagine, onde offrire il meglio di sé, alla folla affamata e alla sua follia (qualità di ciò che è folla). Sacrificio che gli costava non poco. Gli costava altresì molto in termini di maquillage e avvocatura. Il Cavaliere era brioso divertente, tergiverso, spesso invaso da una santa collera contro gli eversivi; ma il suo lato più democratico e sensuale (così tanto portato alla connivenza civile!), veniva pienamente estrinsecato dal suo meraviglioso sorriso plenario, elargito a tutti indiscriminatamente, divulgando gratis e a gogò le sue esilaranti barzellette, su scala planetaria. Non ridevano i rossi però, perché avevano ormai già da tempo capito di cosa si trattava. Era una tattica, una tecnica psiconanologica per scoprire gli infiltrati di sinistra. Infatti chi non rideva mostrava chiaramente di essere un sovversivo dell'ordine suo costituito. Di animo intrepido e nobile, in un atto estremo di eroismo decise di liberare la sua Bella Italia dagli ultimi barbari catto-comunisti. Si incaponì pervicacemente nel voler ripulire a tutti i costi le carceri dai futuri carcerati. Indomito, leale, insieme al suo portaborse Ghedini (a torto chiamato tagliaborse dagli infami extra-parlamentari), lavorava di notte per poter fare le sue leggi alla luce del giorno, onde sottrarsi agli assalti e allo scherno dei sovversi rossi durante la loro stesura.

Si vide così costretto per necessità, per il bene della sua cara Italia, a rinnovare la componente parlamentare. Dopo un attento e scrupoloso esame il Cavaliere d'Italia passò ben bene al vaglio le sue future candide candidate che avrebbero dovuto reggere le sorti del Partito della sua libertà e dei suoi membri, almeno quelli più eminenti. Finalmente un po' di giovinezza in un parlamento decrepito e assonnato di un sonno atavico, profondo fino alla morte! La funzione delle parlamentaresse e ministresse è quella di non far scendere l'indice di godimento, pardon di gradimento, onde evitare il calo d'attenzione dei membri... parlamentari. Era una tattica diversiva. Mentre la manovalanza di sinistra veniva distratta dalle visure delle allettanti giovincelle, il governo aveva il tempo per le sue stesure pro-patria.

Il sacrificio per la patria prima di tutto, dal Cavaliere decantata in tanti suoi proclami ed editti. Cantava... insieme al suo accompagnatore Apicella l'amore per il suo paese e per le belle donne, giovani e sensuali, delle quali era paladino e loro strenuo difensore; lo chiamavano talvolta con il dolce appellativo Papi. Se al momento del bisogno si vedono gli amici, e pur vero che quando il bisogno incombe ed è difficile da revocare, tantomeno da commissionare o procrastinare, queste indefesse e dolci fanciulle si prodigano, con tutta l'anima (non lasciando niente di intentato!), verso il salvatore della patria a gambe, pardon a braccia aperte. Solo le migliori, le più belle, e quindi più intelligenti, supereranno l'esame e saranno così pronte a giurare fedeltà alla repubblica, avendo ormai acquisito una visione del mondo a 360° gradi, dopo la loro difficile e impervia visionatura a 90°.