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domenica 31 gennaio 2010

Cetacei spiaggiati e morti sull'istmo di Varano.TerraNostra ha smascherato i colpevoli




Ricordiamo che Gianni Lannes è stato più volte minacciato dalla mafia e non solo, ha subito anche un attentato. In questo video fa delle dichiarazioni estremamente inquietanti... Cosa riferiranno (se lo riferiranno!) di questa notizia-bomba nei vari telegionali?... Spero almeno che non ci siano censure o dilazioni; ma credo che, purtroppo, da come vanno le cose in questa nostra misera Italietta, ci sarranno senz'altro...

P.S. - Su YOUDEM TV, In questa intervista a Gianni Lannes (sul tema “Le navi dei veleni”) il giornalista riferisce di avere subito ben tre attentati, probabilmente commissionati dalla mafia, e lo stesso non esclude la possibilità che dietro di essi vi sia addirittura lo zampino dei servizi segreti non deviati (sic). Attualmente vive sotto scorta.


Un'altra inchiesta di Italia Terra Nostra...

Navi perdute: Noi sappiamo e abbiamo le prove!

Menem è male che Silvio lo è. Italia Argentina 1-1



Diario di un saccheggio

Questo è filmato mostra chiaramente come la deriva politica dell'Argentina verso la mafiocrazia abbia delle forti attinenze con ciò che sta avvendendo in Italia da un po' di anni a questa parte.


Il Menem argentino italiano non può essere che ...
“Non hanno prove, solo teoremi. Una certa magistratura non gradisce il modo chiaro con cui faccio politica disturbando la vecchia politica che ispira le persecuzioni di pochi magistrati comunisti. Mi vogliono in galera per odio, ed anche invidia. Non digeriscono l'amore col quale il popolo argentino continua ad appoggiarmi”. (Carlos Memem)

Links utili

L'Italia oggi: "Furore latino ed Amor di popolo" (articolo di Angelo D'Addesio)

Pensiero di Carlo Taormina su Berlusconi







Links utili

La verità su B. raccontata dal suo ex avvocato (articolo di Alessandro Gilioli, da Piovonorane)

La spigola di Ischia



Post di Daniele Cortese, su The Front Page

Ore 20.00, come al solito, cucinavo ossessivamente. Filetto di spigola al forno con timo fresco e limone. Avevo sfilettato una spigola da un chilo, tagliato a julienne la scorza di un limone, e schiacciato uno spicchio d’aglio. Infornato il tutto a 250 gradi con olio, una ventina di grammi di timo fresco e un dito d’acqua a coprire la teglia, mi restavano cinque minuti prima di togliere i filetti dal forno e far stringere in una padella il sugo. Aspettavo titoli del Tg spalmato sul divano.

Ecco il Tg. Mi colpisce subito la storia di un signore di Ischia, si chiama Luigi Impagliazzo e gli hanno appena buttato giù la casa. Abusiva. Ci sono stati scontri tra la polizia e i residenti che difendevano la casa di Impagliazzo. Sono decisamente spiazzato: giusto buttarla giù, era abusiva e l’abusivismo è una delle malattie infettive di questo paese. Un momento però. Questo è un povero cristo, disoccupato con una bambina di cinque anni e una moglie che lavora stagionalmente negli alberghi dell’isola. Dove andranno a dormire? Ad Ischia, questo lo chiamano “abusivismo di necessità”. Qualcuno sostiene che non esista abusivismo necessario. Sono confuso.
Poi, immancabili, arrivano i dati di Legambiente: sessantamila abitazioni abusive negli ultimi dieci anni: sedici al giorno. A Ischia, aumento del 752% delle seconde case (abusive) e del 200% delle prime case. Seicento ordini di demolizione, una sola casa abbattuta, quella di Luigi Impagliazzo. Le altre 599 costruzioni, tra cui ville, alberghi, casali panoramici, per ora sono tutte in piedi.

E allora rifletto e ripenso all’alluvione di Giampileri, una trentina di morti, al crollo di Favara in cui sono morte due bambine, agli edifici fatiscenti dell’Aquila come la Casa dello studente. Forse ho riflettuto troppo, i cinque minuti sono diventati dieci e i filetti di spigola nel forno si sono asciugati troppo. Si possono mangiare, ma non saranno mai come sarebbero dovuti essere. Colpa della distrazione, dell’approssimazione. In cucina, succede. E forse anche a Ischia.

Post di Daniele Cortese, su The Front Page

Minacce al giornalista Michele Albanese de Il Quotidiano della Calabria



Il rigido inverno dei giornalisti minacciati (commento di Roberto Rossi apparso su Il Quotidiano della Calabria il 30/01/2010)

Lo abbiamo detto, continuiamo a dirlo: che in questo Paese a far bene il proprio lavoro si rischia la vita. Che per una strana alchimia, è incredibilmente facile e frequente minacciare un giornalista, ma è terribilmente difficile provvedere seriamente alla protezione sua e della sua famiglia. E tutto questo è avvilente, e mortificante. Mortificante non comprendere che tutelare un giornalista minacciato di morte deve essere automatico, come attivare anticorpi a difesa della democrazia. Di queste cose nemmeno si parla, si continua a non volerne parlare. Dietro l’ufficialità delle dichiarazioni di solidarietà, spesso qualcuno insiste persino a storcere il muso, dice, magari sottovoce, che l’intimidazione, quello là, se l’è cercata. Che è alla disperata ricerca di visibilità, che alla fin fine non è così grave ciò che gli accade. Si permette così a chi usa la violenza di continuare a farlo impunemente. È umiliante alzare la cornetta del telefono e sentire un caro amico, un leone di razza, un valoroso giornalista come Michele Albanese, da anni il punto di riferimento per le cronache locali e nazionali che riguardano la Piana di Gioia Tauro, che ti dice: «questa volta ce l’hanno fatta a spaventarmi, a mettere paura a me e alla mia famiglia». è umiliante, soprattutto per lui, che il suo lavoro debba mettere in pericolo i suoi affetti. Quella arrivata ieri per lettera alla redazione centrale del “Quotidiano della Calabria”, non è la prima minaccia subita da Michele, ma di sicuro è una delle più gravi per il contesto nella quale si inserisce, per i giorni di estremo allarme che sta vivendo la Calabria. Per la bomba di Reggio, per i fatti di Rosarno che Albanese ha raccontato senza risparmiarsi, e per i quali si è speso come sempre nell’offrirne lettura a uso e consumo di inviati piovuti giù dal Nord per mezza settimana. Ha cominciato nei primi anni Ottanta, Michele, con una mano scriveva di omicidi e sequestri di persona, con l’altra issava cartelli durante le manifestazioni per l’applicazione della legge La Torre in Calabria. Il giornalismo per lui è uno strumento di emancipazione della società, «a questo deve servire». Lotta da trent’anni in un territorio cha da oltre cento vive sotto il giogo delle stesse famiglie di mafia, Piromalli, Molè, Pesce, Bellocco, Crea, Rugolo, Mammoliti. Conosce a menadito gli interessi mafiosi che girano intorno al più grande hub del Mediterraneo; mastica amaro tutti i giorni il tradimento delle aspirazioni economiche e democratiche di un intero popolo. Vive e lavora, guardato a vista e male dai mammasantissima che passeggiano come squali sotto il suo ufficio di corrispondenza. Lavora bene e vive male. Come male continua a vivere Nello Rega, inviato del Televideo Rai, oggetto di un pressing minatorio senza sosta. Almeno tre episodi gravi hanno riguardato lui e sua madre da quando è stato dato alle stampe un suo libro che racconta una storia d’amore vissuta con una donna islamica, un amore difficile, finito da un giorno all’altro, forse perché a lei è stato impedito di frequentare un uomo non musulmano. Lettere contenenti proiettili, la testa mozzata di un agnello. Non c’entra la mafia, c’entra la violenza issata sui muri delle incomprensioni e dell’ignoranza, c’entra il terrorismo di matrice sciita. Continua a gridarla la sua paura, Nello. Continua a non sentirsi sicuro: «Mi proteggono a metà. Così è inutile. è anche uno spreco di soldi pubblici». Non è un Paese normale il Paese dove un senatore della Repubblica, Felice Belisario dell’Idv, per chiedere al ministro dell’Interno maggiore protezione per Rega, debba spingersi a dire: «Se Rega fosse risultato un mitomane o uno squilibrato sarebbe indagato. Invece non lo è. Da tre mesi sollecito Maroni a intervenire. Lettere, interrogazioni parlamentari, richieste di incontro. Nessuna risposta. Un silenzio deplorevole». Belisario, la Fnsi, Ossigeno per l’informazione, tante le richieste. Ma dal Palazzo ancora non si riesce ad avere una giusta misura di protezione per un uomo in pericolo di vita. Una vita abitata a metà, come quella vissuta da Giulio Cavalli, che rischia da un paio d’anni perché da attore ha fatto uno spettacolo irriverente verso i capimafia, e da qualche settimana rischia ancora di più perché, con quella storia, si è candidato alle regionali. A Varese! Non in Calabria, non in Sicilia, o in Campania. Ma in Lombardia. Dove le minacce più gravi per lui non sono le telefonate anonime o i gesti intimidatori, ma la colpevole indifferenza per la questione mafiosa di una vasta parte della società e della classe dirigente che amministra. Perché la mafia a Milano non c’è. Ché la Lombardia non è affetta da questo cancro. Lo ha detto perfino un prefetto nei giorni scorsi. Dicevano lo stesso a Ragusa, nel 1972, quando fu ucciso Giovanni Spampinato, che invece non la pensava proprio così. Dicevano lo stesso a Barcellona, in provincia di Messina, quando fu assassinato Beppe Alfano. Lo urlavano a Catania quando cinque colpi di pistola raggiunsero la nuca di Pippo Fava. E continuarono a dirlo anche dopo. A fare schermo a una forma di criminalità che resta inconfondibile, anche quando si camuffa di qualcos’altro.

Il rigido inverno dei giornalisti minacciati (commento di Roberto Rossi apparso su Il Quotidiano della Calabria il 30/01/2010)