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mercoledì 3 febbraio 2010

L'odore dei soldi di Berlusconi



Io mi chiedo, se la provenienza dei soldi di Berlusconi (tutte quelle holding, fiduciarie, tutti quei prestanome, quei passaggi poco chiari di denaro, ...) all'inizio della sua carriera (e non solo) sono leciti, perché allora evita i processi come la peste? Perché si fa confezionare leggi e leggine su misura? Più di qualche maleintenzionato, che non abbia ancora la testa privatizzata dal suo governo (ladro?) e non ancora formattatta secondo i cannoni delle televisioni di sua proprietà, potrebbe pensar male, visti i trascorsi, i legami con esponenti mafiosi, lazzi e intrallazzi vari, e dire: costui non me la conta giusta... Male non fare Giustizia non temere.

RIDONO DI NOI...

EL PAÍS

La Mafia entró in affari con Berlusconi, secondo un teste

Articolo originale La mafia entró en los negocios de Berlusconi, según un testigo (Articolo di Miguel Mora - Roma - 02/02/2010 (tradotto da Carlo Giordano)

Silvio Berlusconi Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, ha fatto dichiarazioni ieri nell'aula bunker del carcere di Palermo davanti ai giudici che investigano sulla trattativa tra i servizi segreti e la mafia siciliana agli inizi degli anni novanta. Ciancimino assicura che suo padre e altri capi di Cosa Nostra investirono in Milano 2, il progetto immobiliare con il quale il giovane Silvio Berlusconi iniziò la sua carriera di successo negli anni settanta. "Mio padre era in affari con mafiosi di grande capacità imprenditoriale, come Salvatore e Antonino Buscemi e Franco Bonura" - riferisce [Massimo Ciancimino]. "Insieme investirono denaro in un grande progetto nella periferia di Milano, conosciuta successivamente come che Milano 2".

Il figlio del democristiano corleonese, politico affiliato di Cosa Nostra, spiega che l'informazione l'ebbe direttamente da suo padre (fu il suo segretario personale nel corso degli anni) e attraverso la lettura dei documenti che il politico depositò in diverse casseforti prima di morire nel 2002. La procura di Palermo ha fornito al processo questa documentazione.

Smentita ufficiale

Niccolò Ghedini, avvocado di Berlusconi e parlamentare del Popolo della Libertà, ha emesso una nota nella quale afferma che le dichiarazioni del figlio di Ciancimino sono "completamente carenti di fondamento e di logica" e annuncia una querela per diffamazióone. "Tutto il denaro impiegato nel progetto proveniva da fonti assolutamente lecite", sottolinea Ghedini.

Ciancimino è il teste chiave nel processo aperto contro due ex capi dei servizi segreti, il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, accusati di non avere arrestato il capo siciliano Bernardo Provenzano il 31 ottobre del 1995.

Secondo Ciancimino, Provenzano non fu arrestato e rimase libero fino al 2006 perche era protetto dall'accordo raggiunto tra mafia e Stato nel quale aveva fatto da intermediario suo padre. Il teste racconta che lui stesso consegnava i pizzini (messaggi su foglietti) che si scambiavano suo padre e Provenzano, e che il boss venne a visitare numerose volte la sua casa romana quando suo padre si trovava agli arresti domiciliari, tra il 1999 e il 2002.

Secondo Ciancimino, la trattativa tra Stato e Cosa Nostra si prolungó dal maggio del 1992 (data dell'assassinio del giudice Falcone) al gennaio del 1993, poco dopo la cattura di Totò Riina. L'accordo prevedeva la fine dell'ondata di attentati in cambio di benefici per i boss mafiosi.

Articolo originale La mafia entró en los negocios de Berlusconi, según un testigo (Articolo di Miguel Mora - Roma - 02/02/2010 (tradotto da Carlo Giordano)




EL PAÍS

DI TUTTO DI PIU'...

Provenzano consegnò Riina in cambio della sua impunità

Continua la testimonianza del figlio del ex sindaco mafioso di Palermo. - "Dietro agli attentati di Falcone e Borsellino ci fu un 'grande imprenditore (arquitecto)'"
Articolo di Miguel Mora - Roma - 02/02/2010 (tradotto da Carlo Giordano)

Continua nell'aula bunker del carcere dell'Ucciardone di Palermo l'esplosiva dichiarazione giudiziaria di Massimo Ciancimino, figlio minore ed ex segretario personale del defunto sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. Dopo le otto ore di interrogatorio del lunedì, il teste, di 47 anni, condannato in primo grado per riciclaggio di una parte dell'eredità di suo padre, ha proseguito raccontando questo martedi fin nei minimi dettagli la storia della mafia siciliana degli ultimi 25 anni.

Il suo racconto ricorda Quei bravi ragazzi, il film di Martin Scorsese. Solo che tratta della vita reale.

I trait d'union delle rivelazioni di Ciancimino, alla cui testimonianza i giudici conferiscono massima credibilità per la sua vicinanza ai personaggi e ai fatti, è la trattativa aperta tra parte dello Stato italiano e Cosa Nostra nel maggio del 1992, dopo l'assassinio del giudice Giovanni Falcone.

Il capo di Cosa Nostra, Totò Riina, anticipando l'annientamento della Democrazia Cristiana, ordinò di eliminare i politici affini come Salvo Lima e i giudici Falcone e Borsellino, che avevano condannato centinaia di mafiosi nel maxiprocesso celebrato nella stessa sala dove ora fa le rivelazioni Ciancimino.

Vito Ciancimino condusse una trattativa fino a che non fu arrestato e incarcerato nel dicembre del 1992, ha ripetuto questo martedi il teste. Furono mesi drammatici, che finirono con la Prima Repubblica e con l'estinzione di tutti i partiti tradizionali. E il sindaco palermitano giocò un ruolo cruciale nell'arresto di Riina. "Convinto che Riina fosse diventato matto, mio padre collaborò per la sua cattura convincendo Bernardo Provenzano affinché lo consegnasse. Non fu facile, perché Provenzano non amava il tradimento", ha affermato Ciancimino.

Suo padre negoziò l'arresto del capo dei capi in varie riunioni svoltesi tra l'agosto e il novembre del 1992, tanto con Provenzano quanto con i carabineri (il colonnello Mori e il capitano De Bonno, imputati di favoreggiamento alla mafia in questo stesso processo) e con un agente dei servizi segreti non identificato.

"Chiediamo ai carabinieri le mappe di Palermo con le linee del telefono, gas ed energia elettrica, mio padre le fece arrivare in due tubi gialli a Provenzano e costui segnalò il luogo dove si nascondeva Riina", ricorda Ciancimino Junior. "In cambio del suo contributo per la cattura, Provenzano ottenne una forma di impunità. Mio padre spiegò ai carabinieri che l'unica persona che podeva imprimire una nuova direzione alla strategia di Cosa Nostra e porre fine agli attentati era Provenzano, e perciò doveva rimanere in libertà".

Dopo la cattura di Riina, Provenzano rimase libero fino al 2006. La ragione, afferma il figlio dell'ex sindaco democristiano, è che la trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato è continuata nel tempo, ma con un nuovo interlocutore: il cofondatore di Forza Italia, braccio destro di Silvio Berlusconi e senatore del Popolo della Libertà, Marcello Dell'Utri.

"Dopo l'arresto di Riina e quello di mio padre, Dell'Utri sostituì Vito Ciancimino nella trattativa con Cosa Nostra. Dell'Utri e Provenzano mantennnero relazioni dirette", ha affermato. "Me lo disse mio padre, al quale glielo confermò il capo della mafia".

Secondo un pizzino letto questo martedì nel tribunale, Provenzano trattò con Dell'Utri la possibilità del condono della pena all'ex sindaco quando questo stava nel carcere di Rebibbia ammalato.

Altro punto riguardo all'accordo mafia-Stato, secondo Ciancimino, supponeva che il nascondiglio di Riina non fosse stato perquisito dopo il suo arresto. La ragione che Riina soleva addurre era che, se lo avessero arrestato, la polizia avrebbe trovato nella sua casa documenti sufficienti per fare "affondare l'Italia".

"Mio padre si sentiva indirettamente responsabile dell'attentato di Vía D'Amelio, nel quale morirono (luglio del 1992) Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta", dice Ciancimino. Secondo il suo parere, Riina fu spinto a continuare l'ondata di attentati da qualcuno che rimaneva sempre nell'ombra. "C'era una persona che faceva pressioni su Riina, dicendogli di continuare con le mattanze. Provenzano e mio padre erano contrari a questo modo di agire". I magistrati leggono in aula un altro pizzino inviato da Provenzano a Ciancimino, riferito a Riina: "il nostro amico è pressato oltre misura da un grande imprenditore ( arquitecto)", si legge nel papello.

Articolo originale Provenzano entregó a Riina a cambio de su impunidad (Articolo di Miguel Mora - Roma - 02/02/2010 (tradotto da Carlo Giordano)

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